Credo che ogni musicista e buon ascoltatore, appassionato o professionista che sia, non debba necessariamente imporre limiti a ciò che ascolta. Io personalmente ho sempre il bisogno di abituare l’orecchio a sentire cose nuove. Ho spesso voglia di sperimentare sonorità inedite, di esplorare mondi sonori a me ignoti. Intendiamoci, con questo non voglio affatto dire che bisogna per forza ascoltare di tutto (compreso quello che non ci piace) ma solamente provare strade diverse dall’ordinario. Ritrovare il gusto della scoperta. Alla fine le scelte possono essere due: rimanere delusi da ciò che abbiamo trovato e ritornare sui propri passi oppure innamorarci di ciò che le nostre orecchie non avevano mai captato prima e buttarci a capofitto alla scoperta di un genere musicale pieno di sorprese. Un po’ come è successo a me quando mi sono imbattuto per la prima volta con Kind of Blue di Miles Davis. Fino a quel momento non mi ero mai avvicinato al jazz. Volete sapere la mia reazione dopo averlo udito dall’inizio alla fine? Tanto immenso stupore!
“Quest’album deve essere stato fatto in paradiso!” esclamò James Cobb, uno dei musicisti che prese parte alla registrazione del disco. E come dargli torto?! Kind of Blue è uno dei capolavori della storia del jazz, partorito dalla mente geniale di Miles Davis. Stiamo parlando di uno dei musicisti più importanti del Novecento, che con le sue opere mise in atto una vera e propria rivoluzione in campo jazzistico, tanto da far storcere il naso ai puristi dell’ambiente. Ma andiamo con ordine.
Tutto ha inizio nel marzo del 1959. Miles convoca in rassegna sei musicisti presso uno studio di registrazione. Non sono musicisti qualsiasi ma persone di spiccato talento sia per quanto riguarda l’esecuzione e l’improvvisazione. Due doti che per Davis sono fondamentali per poter realizzare ciò che ha in mente. Una selezione accurata e studiata nei minimi dettagli: al sax contralto troviamo Julian Cannonball Adderley, al sax tenore John Coltrane (altra figura fondamentale), Bill Evans al pianoforte, James Cobb alla batteria, Paul Chambers al contrabbasso e infine Winton Kelly che suona il piano solamente in un brano. Tale sestetto diventerà il più celebre proprio perché formato dai migliori strumentisti della scena musicale di quegli anni. Naturalmente protagonista indiscussa è la tromba di Miles, autrice di assoli memorabili. Una volta riunita la formazione al completo, il trombettista consegna a ciascuno di loro alcune brevi tracce guida di linee melodiche sulle quali poter improvvisare. Sembra difficile crederlo ma la lavorazione dell’album fu molto breve. Nove ore di registrazione suddivise in sole due sessioni. Un risultato all’epoca straordinario e che la diceva lunga sull’abilità mostruosa del gruppo. Tuttavia per gli standard di Davis tali risultati non erano poi così insoliti. Negli anni a venire cominciò a diffondersi una particolare leggenda secondo la quale tutti i brani registrati non erano altro che prime esecuzioni assolute. Tale credenza venne poi smentita dai diretti interessati.
Perché Kind of Blue può effettivamente essere ritenuta un’opera rivoluzionaria? La risposta va cercata nel modo in cui l’autore ha impostato la procedura di creazione del lavoro. Con Davis si può parlare per la prima volta di jazz modale, dove gli accordi non devono per forza seguire i gradi di tonalità imposti dalla scala armonica tradizionale. La relazione che teneva uniti armonia e melodia non esiste più. Questa tecnica verrà utilizzata dal trombettista anche nei suoi dischi successivi, inaugurando una nuova evoluzione del genere stesso. Come già detto, all’epoca della sua uscita Kind of Blue fece storcere il naso a tanti critici, gli stessi che poi lo rivaluteranno in futuro. Cinque sono i pezzi che lo compongono, tutti diventati dei classici senza tempo e reinterpretati da numerosi musicisti e colleghi dello stesso Miles. Ogni brano è stato studiato per far risaltare ogni strumento: dal contrabbasso di Chambers alla batteria di Cobbs, passando per i sax di Adderley e Coltrane. Il tutto a dimostrare come questa macchina sia perfettamente oliata e ben funzionante. Un sestetto irripetibile che consentì al disco di diventare l’album jazz più venduto di sempre. Tantissimi i musicisti delle generazioni future che vi presero ispirazione, dalla musica classica arrivando persino al rock. Qualche esempio? Richard Wright, il tastierista dei Pink Floyd, ammise di aver utilizzato la tecnica di progressione degli accordi per la realizzazione di Dark Side of the Moon. Già, perché Kind of Blue è un’opera che non conosce confini. Amato non solo dai jazzisti ma anche dai rockettari, dagli amanti della classica e persino dai metallari. Per chiunque voglia avventurarsi in questo genere l’album di Davis rappresenta un punto di partenza ideale. Consigliato a tutti i neofiti del jazz.
Tuttavia lo stesso anno in cui uscì l’album (17 agosto 1959) il trombettista fu protagonista di un episodio molto spiacevole. Una sera, dopo esser uscito da un locale a New York, venne pestato duramente dalla polizia e arrestato. L’accusa rivoltagli fu quella di resistenza a pubblico ufficiale. Ma non era vero. Secondo molti testimoni che avevano assistito alla scena, Davis fu vittima dell’ennesimo caso di razzismo e abuso di potere da parte delle forze dell’ordine. Il poliziotto che lo aveva picchiato aveva bevuto fortemente quella sera. Il suo fiato puzzava pesantemente di alcool. Questa drammatica vicenda segnò profondamente l’esistenza del musicista. Il tema del razzismo sarà manifestato anche in altre sue opere successive, come nella copertina del celebre Bitches Brew del 1969.
Non basterebbe una recensione come questa per parlare di un’opera grandiosa e complessa come Kind of Blue. Sono stati scritti numerosi libri a riguardo e ancora se ne continueranno a scrivere. Il mio consiglio? Ascoltatelo e basta. Non ve ne pentirete!