Le Nuvole

Immaginate, per un solo istante, di chiudere gli occhi e tornare indietro nel tempo. Molto molto indietro, fino al 423 a.C. Siamo ad Atene e un certo Aristofane, di professione commediografo, sta lavorando alla sua nuova rappresentazione teatrale, dal titolo “Le Nuvole”. La storia ha per protagonisti il vecchio Strepsiade e suo figlio Fidippide, rampollo che si diverte a sperperare tutto il denaro nelle corse ai cavalli, finendo con il far indebitare il povero padre. Un giorno quest’ultimo, stanco di pagare i debiti del figlio, lo spedisce alla scuola del filosofo Socrate, in modo tale che possa maturarsi un po’ e imparare a cavarsela da solo con i creditori in futuro. Giustamente voi vi chiederete il perché di questo racconto. Per potervi rispondere è necessario compiere un altro balzo temporale, con destinazione un’epoca più vicina alla nostra. Genova, 1990 : il poeta e cantautore genovese Fabrizio De André è impegnato nella scrittura del suo prossimo album, quando si ritrova per le mani una storia alquanto bizzarra. Indovinate un po’ quale? La commedia di Aristofane! Ed è proprio da lì che prenderà vita il suo nuovo progetto musicale, dal titolo omonimo.

Image and video hosting by TinyPic

 

De André, reduce dal successo del suo ultimo disco, ritorna a collaborare per la seconda volta con Mauro Pagani, con il quale aveva già lavorato per Creuza de Ma. Il cantautore genovese, rimasto affascinato dal testo di Aristofane, decide di usare questa fonte come idea di fondo per il nuovo album, partendo da una semplice domanda. Che significato attribuisce lo scrittore greco alle sue Nuvole? La risposta è presto data: la sua non vuole essere solamente una semplice commedia ma anche un pretesto per attaccare Socrate e i sofisti, colpevoli di educare le nuove generazioni ad assumere atteggiamenti di contestazione e provocazione nei confronti del governo conservatore di Atene. In conclusione, per Aristofane la nuvola più pericolosa è lo stesso Socrate. Tornando all’opera “deandreiana”, le Nuvole a cui fa riferimento il poeta sono tutte quelle persone che detengono il potere e che mostrano di temere il nuovo, il cambiamento che potrebbe sovvertire le loro privilegiate posizioni.

L’album è costituito da due facciate, completamente diverse: la prima (lato A) ci mostra il De André che tutti conosciamo, quello che non può fare a meno di arrabbiarsi nei confronti della politica attuale, denunciando i mali che da sempre attanagliano il nostro paese, nella maniera più ironica possibile; la seconda (lato B) continua invece il percorso etnico/dialettale, tracciato già dai tempi di Creuza. Il Fabrizio più intimo, che si mostra per quello che realmente è: un uomo totalmente legato alle sue radici, alle tradizioni, ai dialetti e alla sua terra d’origine. Il suo profondo amore per la campagna e gli animali è cantato con tutti gli accenti possibili: dal genovese al napoletano, passando per il dialetto gallurese. In questa seconda parte è racchiusa tutta la sua umanità. E’ un bisogno impellente quello di confessarsi e non deve farlo servendosi dei media e della televisione, ma attraverso ciò che ama di più: il canto e la musica. Inoltre può contare su una spalla non da poco. Mauro Pagani è uno dei più virtuosi musicisti italiani che il mondo abbia mai conosciuto e non a caso ha fatto parte per diverso tempo di uno dei gruppi rock che Fabrizio amava di più: la Premiata Forneria Marconi. Il loro incontro risale ai tempi de La buona novella, quando Pagani e compagnia erano ancora poco conosciuti e si facevano chiamare “I Quelli”. Non sarà l’unica collaborazione con il cantautore. I due si ritroveranno in seguito per alcuni concerti, dai quali verranno tratti due live: “Fabrizio De André e PFM Volume 1 & 2”. In seguito Pagani lascerà la band per dedicarsi ad altri progetti musicali. La sua strada si rincrocerà con quella di Fabrizio nel 1980, per la registrazione di Creuza De Ma. Gli anni 80 sono stati fondamentali perché hanno permesso ad alcuni coraggiosi artisti di aprire un nuovo varco nel vasto universo musicale: la world music. Hanno unito etnie e tradizioni musicali diverse l’una dall’altra, per creare qualcosa di unico. Un linguaggio globale, che potesse arrivare a tutti. In Italia i primi ad avventurarsi in questa terra inesplorata sono stati proprio De André e Pagani. Il loro contributo con Creuza De Ma è stato qualcosa di notevole, tanto che lo stesso David Byrne ha espresso parole di ammirazione per il loro lavoro. Col passare del tempo il loro rapporto cominciò a evolversi sempre di più: se prima si dividevano i compiti (chi ai testi, chi alla musica), con Le Nuvole unirono entrambe le forze, consultandosi e influenzandosi a vicenda. Cominciarono a guardarsi attorno, con un’attenzione al mondo del tutto diversa rispetto a prima.

Passiamo ora alla descrizione delle otto canzoni contenute nel disco. Come spiegato in precedenza, l’album si compone di due parti facilmente distinguibili. La prima parte inizia e si chiude allo stesso modo, ovvero con un canto di cicale, atto a simboleggiare la protesta del popolo italiano nei riguardi dei padroni. Il primo brano che ascoltiamo e che da il titolo al disco, non è cantato ma solo recitato da due voci femminili. Si parla in maniera piuttosto metaforica delle nuvole, del loro aspetto e comportamento nel cielo. Un’orchestra accompagna il recitativo con un motivo musicale onirico e sognante. Dopo questa piacevolissima introduzione, si entra nel vivo del progetto con l’opera buffa Ottocento. Si avete capito bene, opera buffa. E’ un effetto del tutto voluto. La struttura musicale è piuttosto anomala: un’atmosfera operistica molto goliardica accompagna un De André versione cantante lirico. Se il suo scopo era quello di sorprendere l’ascoltatore, ci è riuscito in pieno. Possiamo definirlo uno zibaldone dei generi musicali più svariati, compreso un passaggio di jodel tirolese sul finale. Insomma l’autore non si fa mancare proprio nulla. Tuttavia questa atmosfera assurda, altro non è che una parodia del capitalismo più sfrenato e di tutti quei consumatori che cadono vittime delle pubblicità più improbabili. Le note di chiusura del pezzo sono affidate al pianista Andrea Carcano, che esegue buona parte del brano Giugno di Cajkowskij. Segue Don Raffaè, una tarantella napoletana, nata dalla collaborazione tra il cantautore e Massimo Bubola. E’ una chiara denuncia contro lo Stato, più volte sottomesso dalle organizzazioni mafiose e all’intollerabile gestione delle carceri. Temi ancora oggi attualissimi. Il lato A si chiude con La domenica delle salme. Anche qui la politica la fa da padrone. De André si scaglia contro alcuni dei suoi colleghi cantautori, colpevoli di essere diventati “servi del potere”. E’ uno dei suoi pezzi più enigmatici e drammatici. Vi consiglio vivamente la visione del videoclip di questa canzone, girata dal regista Gabriele Salvatores. Guardando questo video è possibile capire molto della personalità di Fabrizio: uno sguardo rapido e furtivo verso il mondo esterno per poi chiudersi in sé stesso.

Inizia la seconda parte e da qui in poi nessuna traccia sarà più cantata in lingua italiana. Mégu Megùn (Medico medicone) racconta le vicende di un ipocondriaco, che credendosi affetto da una grave malattia, accusa il suo medico di volerlo far alzare dal letto. In realtà ciò che lo spaventa di più è il contatto con la gente. Alla fine il finto paziente deciderà di restare prigioniero del suo letto, al riparo da ogni contatto umano. Il brano, cantato in lingua genovese, sancisce la collaborazione tra De André e Ivano Fossati, che partecipa alla scrittura. La Nova Gelosia è una vecchia canzone napoletana che Fabrizio decide di includere nel suo lavoro, dopo averla sentita interpretare da Roberto Murolo. Il termine “gelosia” fa riferimento al serramento della finestra, che impedisce all’innamorato di guardare la sua bella. L’ascolto continua con A Cimmà, scritto anche questo con Fossati. E’ la traccia più commovente di tutte. Il cantautore racconta fase per fase, la preparazione di un tipico piatto di Genova, la “cima alla genovese”. Leggendo il testo sembra quasi di trovarsi di fronte a una ricetta culinaria. Il disco termina con un dovuto omaggio dell’autore alla sua terra di adozione, la Sardegna. Monti di mola narra un amore impossibile tra un uomo e un’asina bianca, i quali cercano di organizzare il loro matrimonio, salvo poi scoprire da alcuni documenti ufficiali, di essere parenti stretti.

Se volete capire a fondo che uomo è stato Fabrizio De André l’ascolto di questo album è d’obbligo!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *