Uno dei ritorni tanto graditi e attesi di questo 2017 è stato sicuramente quello di Paolo Benvegnù, cantautore di spicco della scena indie rock italiana attuale.
A distanza di tre anni dalla sua ultima pubblicazione discografica, egli torna sulle scene con una nuova, ennesima, fatica discografica che non delude le aspettative ma riconferma ancora una volta il suo prezioso talento come musicista e autore di testi colti e raffinati. H3+ è il titolo del suo nuovo progetto musicale, uscito il 3 marzo per l’etichetta Woodworm label, e rappresenta a tutti gli effetti un’evoluzione nel suo percorso artistico, distaccandosi in parte dalle opere precedenti per l’inserimento di sonorità più elettroniche pur mantenendo quella poeticità di fondo, da sempre tanto cara al cantautore milanese.
Chi come me si è lasciato conquistare dalla bellezza e dalla profondità di opere come Hermann (2011) e Eart Hotel (2015), non potrà rimanere indifferente ascoltando le dieci splendide canzoni di questa nuova opera, che va a completare quello che possiamo definire un trittico magistrale. L’ex leader degli Scisma torna quindi a dire la sua con un disco che, almeno per me, si è già guadagnato un posto di tutto rispetto nella classifica delle migliori uscite di quest’anno.
Mettetevi comodi perché le cose da dire a riguardo sono molte. Quello che ci troviamo davanti è un disco di grande spessore.
Alla base di questo nuovo progetto discografico che porta la firma del nostro caro Benvegnù troviamo la molecola più importante dell’universo: lo ione triatomico di idrogeno (H3+). Un elemento chimico fondamentale, presente in grande quantità nel cosmo e capace di separare una stella dall’altra. In poche parole è la molecola che sta all’origine dell’universo.
Il cantautore utilizza questo elemento chimico come perfetta metafora per le sue nuove canzoni, attraverso le quali l’uomo compie un viaggio alla ricerca di se stesso: abbandona il suo pianeta e comincia a navigare fra gli angoli più remoti dello spazio, incontrando diverse stelle (ovvero diverse parti del suo essere), per poi infine far ritorno sulla Terra, non più consapevole di ciò che era stato fino ad allora ma totalmente cambiato.
Durante il suo viaggio nel cosmo più buio e profondo, le scintille delle stelle hanno illuminato qualcosa dentro di lui, mostrandogli la sua vera essenza: il suo vero io. Quella che può sembrare la trama fantascientifica di un film è in realtà il pensiero filosofico che sta alla base di questa quinta opera solista del cantautore milanese. Queste dieci canzoni non sono altro che un viaggio esistenziale dove l’essere umano ha l’occasione di comprendere più a fondo la sua natura. E’ un lavoro meno immediato dei precedenti e meno prolisso. Ricordo che la prima volta che l’ho ascoltato non mi ha colpito subito particolarmente (cosa che invece accadde con Earth Hotel). Prendiamo per esempio la prima canzone, “Victor Neuer”, con una partitura dove sono gli archi a farla da padrone. Non c’è batteria ma solo una chitarra acustica e i violini a disegnare un universo astrale. L’infinito. Non l’apprezzi subito ma solo riascoltandola diverse volte comincerà ad entrarti pian piano nelle viscere. Una melodia struggente, quasi atipica nel suo modo di essere. Non è ritmata come la traccia seguente, “Macchine”, molto elettronica e futuristica in certi versi. L’essere umano fa partire la sua navicella, pronto a cominciare il suo viaggio alla ricerca della sua interiorità, conscio del fatto che dovrà attraversare vortici e tempeste prima di raggiungere un po’ di serenità e chiarezza. A metà brano la batteria entra in scena, a infondere quel ritmo del quale le nostre orecchie avevano bisogno. Le parole di Benvegnù si accompagnano fedelmente ai suoni, e in questo si sa, lui è sempre stato un maestro.
Perché, ancor prima di essere un validissimo musicista, Benvegnù è anche un grande artigiano delle parole. Segue l’irresistibile “Goodbye Planeth Earth”, molto accattivante con quelle sue sonorità che rimandano, forse involontariamente, alla “Ashes to Ashes” di Bowie ma anche a certe cose dei Japan. Per lo meno questa è l’impressione che ne ho ricavato ascoltandola ma potrei anche sbagliarmi. Poco importa. E’ un altro gioiello del disco così come quello successivo, “Olovisione in parte terza”: qui è il pianoforte a farci scuotere le corde della nostra anima con la sua dolcezza, mentre la navicella prosegue il suo viaggio.
Con lo scorrere delle canzoni si arriva alla seconda parte dell’album, anche questa ricca di momenti di grandissimo pathos. Il primo di questi è “Boxes”, che nei primi secondi sembra caratterizzata da un tocco molto orientale. E’ una canzone cupa e piena di tensione. L’astronave è immersa nell’oscurità più profonda, in procinto di essere divorata dall’ignoto. La musica rende a pieno questo clima di tensione e paura e quando tutto sembra andare perduto per sempre, eccola arrivare. La luce delle stelle a illuminare tutto. In “Slow Parsec Slow” è la luce a infondere vita e speranza: l’uomo può finalmente tornare sulla Terra, immerso da questo forte senso di bellezza. Il brano si chiude con un finale jazz molto toccante, con il sax suonato da Steven Brown (si, quello dei Tuxedomoon). A chiudere il tutto troviamo ad accoglierci “Astrobar Sinatra” e “No drinks no foods”, due canzoni ricche di calore, con gli archi che ritornano a chiudere il viaggio così come lo hanno aperto all’inizio.
Tirando le somme, questo album ci conferma ancora una volta il grande talento di Benvegnù nel creare opere di grande spessore, non solo sul piano musicale ma anche a livello poetico/filosofico. Ho avuto modo di assistere ad un suo concerto dal vivo qualche anno fa in occasione del tour per la promozione di “Earth Hotel” e posso dire che quest’uomo ha tutta la mia ammirazione: è dotato di una classe ed eleganza ma sopratutto di un’umiltà assai rare oggi come oggi. E’ stato un concerto intimo e bellissimo, di quelli che ti rimangono in testa anche dopo diversi anni. Sicuramente la tipologia di concerti che preferisco di più: non saremo stati in tantissimi ma poco importa. La visuale era perfetta e l’atmosfera molto tranquilla e suggestiva, con un’acustica veramente ottima. Tutto quello che dovevo dire sul disco l’ho detto. E’ sicuramente tra le migliori uscite italiane di questo 2017 e la dimostrazione che nel nostro paese c’è ancora gente in grado di fare ottima musica. Benvegnù ha cominciato negli anni novanta con gli Scisma proponendo un rock molto raffinato per poi avviare una carriera solista decisamente non inferiore. Anzi, tutt’altro. Il mio consiglio spassionato quindi è questo: ascoltatevi l’ultimo di Benvegnù se non lo avete ancora fatto e recuperate anche i lavori precedenti perché meritano moltissimo. Avercene oggi di cantautori come lui!